HOME PAGE > PRIMI PASSI > Una piccola stella

Una piccola stella

Vada come vada, ormai ho deciso. Vedrò finalmente i Monti Sibillini, di cui, di tanto in tanto, ho sentito parlare. Per il momento per me sono una catena montuosa sull'atlante di scuola, che non ho ancora venduto. Poi, a ben cercare, si trova anche una carta Kompass al 50.000. Che l'editore sia di Bolzano e che Bolzano sia a 500 km è cosa che mi avrebbe dovuto far riflettere ma gli dei - è noto - fanno uscire di senno coloro che vogliono chiamare a sè. Il tempo, quando parto dalle gole dell'Infernaccio non è dei migliori. In effetti è piovuto da poco, ma siamo pur sempre in agosto e anche se ho scoperto che il sud non è poi così caldo, agosto è sempre agosto. Inoltre, questa volta parto bene attrezzato. Niente di inutile, fra il resto non porto con me neppure la macchina fotografica e gli scatti che vedete sono ripresi, a distanza di qualche anno, in analoga situazione meteo. In compenso ho una tenda. Uau, direte voi, finalmente, si è svegliato! Ma non è del tutto vero. In effetti avevo comperato una monotelo da ciclista, un tipo di tenda che all'epoca era chiamato "globetrotter": mi avevano affascinato l'estrema leggerezza, il colore azzurro cielo e, per dirla tutta, il prezzo incredibilmente basso... Ad ogni modo, dormirò in due casine che ho visto sulla carta, e poi, da ultimo, al Rifugio Zilioli. La tenda serve solo per le emergenze. Cavolo come sono diventato prudente...

Le gole sono impressionanti, dantesche, altissime e strette, il calcare annerito e striato qua e là dalle vene d'acqua. Di tanto in tanto, il rumore di un sasso che cade da chissà dove.

Infernaccio

Sono completamente solo e tutto è avvolto in una nebbiolina novembrina - ma non eravamo a agosto? - non ci si può ad ogni modo perdere, o si va avanti o si va indietro, penso fra me e me per rincuorarmi, infatti riesco subito a perdermi in una vallecola laterale e mi strappo la tela cerata per tornare sul sentiero. Ma a parte questo, tutto procede a gonfie vele. Giungo alla testata della Val di Tenna nel pomeriggio, luce crepuscolare e cielo d'ovatta sopra la mia testa, e riempio le borracce. Le sorgenti del Tenna esistono solo sulla carta Kompass, sono ingabbiate in una struttura di cemento più vecchia di me, ma a parte questo continuo a salire. Lascio alle mie spalle un paio di vecchie abitazioni, io dormirò in una casupola molto più in alto, appena sotto a Passo Cattivo, ben visibile sulla carta. Stando alla carta dovrei essere in vista della costruzione e finalmente la intravedo, ansimo e sbuffo sotto il peso, e affretto il passo, che non ho più di mezz'ora di luce. Ma devo essermi sbagliato. La costruzione dev'essere subito dopo quel grosso masso. Ricontrollo la carta. faccio una breve perlustrazione a semicerchio. Niente. L'aria s'è fatta azzurrina. Lascio lo zaino sotto il masso e faccio un ampio giro a piedi, in cerca della casina. Controllo e ricontrollo la carta. Ad un certo punto, la realtà si fa strada in me con certezza. Il masso è la casina. Cioè, il masso e la casina sono la stessa cosa. Insomma, filosofia a parte, non c'è nessuna casina. In effetti, il masso è abbastanza squadrato per essere preso per una costruzione, almeno da una certa distanza, diciamo, da un fotografia aerea, per esempio. Mi metterei a piangere. Se torno indietro, alle case che ho visto più in basso, rinuncio alla traversata. Quindi (o per lo meno, nella mia testa, c'è tra queste considerazioni un sano rapporto causale) quindi dovrò pernottare qui. Monto la tenda proprio sotto al masso. Inizia una pioggerella leggera e fredda. La faggeta, sotto di me, è frusciante, muta e un poco spettrale. Mi scaldo un po' di brodo in polvere sul fornellino a meta e mi infilo nel sacco a pelo. Buio profondo. E freddo da paura. Batto i denti nel sottile sacco a pelo in cotone. Mi raggomitolo. Continuo a battere i denti. A tratti mi appisolo, ma cerco di restare sveglio. Troppa letteratura sulla Morte Bianca, suppongo. La notte è interminabile. Mi sono appisolato di nuovo. Ad un certo punto guardo l'ora. Dovrebbe avere albeggiato da un pezzo, ormai. In effetti, sono le sei passate, ma fuori c'è una strana luce. Strana davvero.
Senza uscire da sacco a pelo apro la cerniera della tenda e guardo fuori. Il cielo è completamente coperto, pure l'aria è come luminosa. La valle, i prati, le cime degli alberi sotto di me: tutto coperto da un sottile strato di neve.


Cristo santo, ma è il 22 agosto! Questa riflessione non aiuterà la neve a sciogliersi. Devo uscire dal sacco a pelo. Mi scaldo un the. Il fornelletto a meta funziona così così. Il the è tiepido. Ho troppo freddo per mangiare. Saltello e batto i denti mentre spremo mezzo tubo di latte condensato nel pentolino e lo bevo. Dolce da far schifo, ma presto va meglio. Non sarà l'ultima volta che il latte condensato mi salva il culo. Anzi, potrebbero sponsorizzarmi. La fronte mi brucia. Qualche colpo di tosse. Rifaccio lo zaino. Mi sento tutte le ossa rotte. Eppure ieri ho camminato pochissimo. E così inizia la mia prima traversata dei Sibillini. C'è poco da dire. Avanzo in mezzo alle nuvole basse, senza fermarmi, per l'intera mattinata.

Sette otto ore di buon passo, nonostante lo zaino carico e la carta, che si rivela inesatta come poche. Un valico "spostato" di 500 metri buoni, per esempio. Ah... dell'altra casina, nessuna traccia. Nè ora, nè nelle gite successive. In compenso, scoprirò un paio d'anni più tardi che poche centinaia di metri più in basso ce ne era un'altra, non segnata sulla carta. Ad ogni modo, quando capisco che non c'è alcun rifugio sulle creste, è abbastanza tardi. Ho la febbre. Sgranocchio un'aspirina. Ho finito anche l'acqua. Il tempo sta rapidamente migliorando. Sto guardando il Vettore, davanti a me, sono alto sopra Forca Viola. Dapprima non capisco cosa sono tutti quei puntini bianchi sul costone del monte. Quando mi rendo conto che sono pecore, la dimensione della montagna, celata dall'assenza di piante e di ogni altro punto di riferimento, mi impressiona. Sotto di me, Castelluccio, pare di toccarlo. Ma non voglio scendere, ho deciso di fare la traversata e la finirò. Sono andato avanti tutto il giorno a latte condensato, fichi secchi e noccioline. Mi sento prosciugato dentro. La mente voglio dire. Secca e asciutta. Non importa che sto male. Mi sento benissimo e inizio la discesa che mi porterà ai laghi di Pilato. Raggiungerò il rifugio Zilioli. Quello so per certo che esiste, me l'ha detto uno di Foligno. La valle è piena di nuvole. Lascio il bel tempo sul versante occidentale e entro nella nuvola. Poi, attraverso un poderoso ghiaione di brecce appuntite che fanno un rumore secco e cristallino sotto i miei scarponi.


In cima ad una salita piuttosto faticosa, i Laghi di Pilato. Acqua verde scurissima, attraversata da fracta leggeri spinti da raffiche di vento. Roba da Nibelunghi. Il costone del monte sparisce una cinquantina di metri sopra di me, in una nuvola più fitta delle altre. La carta è poco sicura, come ho visto. Cercherò di seguire il sentiero. Per ora è facile. Ci sono delle roccette facili facili ma sono a tratti friabili e viscide. Ora sono abbastanza alto sul lago. Non mi posso perdere, per ora, dato che il piano di calpestio è addirittura consunto dai segni del passaggio. Col bel tempo dovrebbe esserci un sacco di gente, qui. Un'improvvisa folata di vento si infila sotto la tesa del mio zaino "da concerto". Per fortuna cado su un fianco, rotolo un metro o due, mi abbozzo e mi graffio tutto ma non finisco di sotto. Decido che cambierò lo zaino. Ho letto in un manuale di alpinismo che devono avere una forma a tubo, per evitare di prendere vento o di impigliarsi dappertutto. Il mio sembra un armadio a muro. Comunque sia mi sono spaventato. Continuo a salire. Fuori dalle roccette sono su una conca di prato molto ampia. O così mi sembra. Sono di nuovo in mezzo alla nuvola. L'aria è livida, fredda e crepuscolare.

Come troverò il rifugio? Mi hanno detto che è lungo pochi metri. Inutile dire che io non so usare la bussola…ad ogni modo, all'epoca non so neppure che la bussola mi sarebbe potuta servire in quell'occasione. Quindi non me la prendo più di tanto. Insomma, sempre andato avanti senza bussola. Però sono fortunato. L'amico di Foligno mi ha detto che la salita per arrivare al rifugio è ripidissima (in folignate "no sbocco de sangue"). Quindi, nella nebbia, sarà sufficiente che scelga sempre la linea di massima pendenza. O no? Inizia così un itinerario tra le nuvole. Mi metto con metodo, ogni volta che il pendio accenna a diminuire, mi butto su dritto per dritto. Sto salendo da un tempo interminabile. Per fortuna al lago ho riempito la borraccia. Mastico un'altra aspirina, ma la febbre ormai sta salendo. Salgo lento, senza vedere nulla. L'aria si sta facendo più scura. Non devo partire di testa. A tratti mi trovo ad andare su come un forsennato, carponi, strappando zolle di falasco con le mani. Dopo poco riprendo il controllo. Non reggo più lo zaino in spalla. Mi piega le ginocchia. Me lo levo e inizio a trascinarlo. L'aria sempre più cupa. Una cosa strana. Secondo il vecchio altimetro di mio padre, sono ormai abbondantemente sopra il rifugio. Sarà rotto. Se no, dove sono?

Zig zag tra roccette friabili, piccoli ghiaioni sempre più ripidi, canalini rocciosi, sempre a cercare il prato, sempre meno convinto, sempre trascinando lo zaino, in bocca un forte sapore di rame. Sempre più stanco. Un passo, uno strattone allo zaino, un respiro da fermo, un altro respiro da fermo, un passo uno strattone allo zaino, un respiro da fermo… fino a che è finita. Sono vicino a una roccia alta un paio di metri. Non so come, ma sto guardando un cielo di piombo sopra di me. Nessuno mi potrà trovare. Non ce la farò a svoltare la notte su questo costone. Raffiche di vento mi gelano il sudore addosso. Mi cercheranno dalle parti dell'Argentella, quasi una giornata di marcia più indietro. Mi cercheranno dove dovrei essere. Mica è colpa loro. Mi inizieranno a cercare solo dopodomani mattina. Mi sa che stavolta è finita. Mi giro su un fianco e mi rannicchio. Ho gli occhi chiusi. Sto bene. Bene davvero. Ma è finita. Sto così bene che ho smesso di tremare. Riapro un attimo gli occhi e vedo accanto a me una piccola stella alpina. Non sapevo ne crescessero così a sud. Non ho mai colto una stella alpina. Ma ora è diverso. Non credo farà differenza, domani. Stacco un foglio dal taccuino che tengo nella tasca della mimetica e scrivo due righe per Gioia. Poi ci avvolgo la piccola stella e rimetto tutto in tasca. Chiudo l'automatico. Mi sento in pace. Ora dormirò un poco...

Mi svegliano delle raffiche di vento teso. La tramontana ha spazzato il cielo. Piccoli lumi su un tappeto di antracite. Aria di cristallo. Capisco che sono quasi in cresta. Cerco di alzarmi, ma non ci riesco. Carponi raggiungo la cresta. Ero solo intorpidito, ora mi alzo in piedi. Apro la cartina e accendo una piccola pila per leggerla. Un immenso presepe di luci davanti a me, verso sud: i monti della Laga. Un alone di luce rossiccia, a sud est, Ascoli Piceno. Riconosco tutto. E Castelluccio. Sono sulle Creste del Redentore, vicinissimo a Cima di Prato Pulito, molto più in alto del rifugio. Tutto così grande, silenzioso e amico. Il vento. Il cielo stellato. La piccola stella nel taschino. E sotto di me, a una mezz'ora di marcia, il rifugio, una manciata di pietre sulla sella delle Ciaule, incustodito e sporco, che presto brillerà come una reggia, alla luce della mia candela accesa.

(2001)